martedì 19 febbraio 2008

Paris Hilton e le Miss Italia


“Non voglio essere riconosciuta come la nipote di Hilton. Voglio essere riconosciuta come Paris”

Chiunque conosce o ha comunque già sentito parlare di Paris Hilton. Figlia di Richard Hilton e Kathy Richards, è la nipote ereditiera di Conrad Hilton, fondatore della catena di hotel di lusso Hilton. L’eredità messa a disposizione della giovane Hilton (condivisa con la sorella Nicky) è di 30 milioni di dollari in liquidi e ha inoltre la possibilità di utilizzare il patrimonio della catena alberghiera per costruire a sua discrezione nuovi locali e alberghi sotto suo nome. Appena terminato il liceo, Paris decide di diventare famosa. Non famosa per, ma famosa. Così nel 2000 intraprende la carriera di indossatrice e modella, non facendosi mancare nemmeno un marchio per cui sfilare. Salta agli onori della cronaca rosa per una liaison con una tra le star più famose di Hollywood, Leonardo Di Caprio. Da qui in avanti la vita della Hilton è fatta di eccessi, follie, apparizioni televisive, modaiole, festaiole e in tribunale per i suoi vari guai giudiziari, che l’hanno portata anche a scontare un breve periodo in carcere. Abbiamo sentito parlare di lei perché apparsa nuda nei presunti video rubati, perché è stata vista abbracciata in mise sexy all’amica Britney Spears, perché fermata dalla polizia in stato di ebbrezza, perché ha sfilato in castigato tailleur grigio in un’aula di tribunale e perché è apparsa in una pubblicità italiana di telefonia. Tutto per essere visibile, per essere famosa, per far parlare di sé. Paris non è una cantante (o perlomeno una cantante di grande talento), non è un’attrice, non è particolarmente bella, non ha meriti particolari, eppure è famosa. È ricca ma questo non basta per giustificare la sua notorietà. Anzi, Paris deve impiegare le fortune del nonno per mantenere la sua notorietà. Ora le sue finanze navigano in mari agitati: il nonno vorrebbe devolvere una grande somma dell’eredità lasciata alla giovane Hilton in beneficenza perché “imbarazzato dal comportamento della nipote”.


Paris Hilton ci offre degli spunti interessanti per parlare di reputazione. Innanzitutto, la sua è una reputazione ‘conquistata’, non è colata direttamente dal nonno o dai genitori. Paris è la Hilton più famosa, fotografata e discussa. La sua fama non deriva dal suo ‘lignaggio’. In secondo luogo, la sua forsennata ricerca di fama mostra come ottenere una reputazione non significhi ambire a una buona reputazione. Paris, dopo aver usato le carte della modella e della pseudo-cantante, ha dirottato le sue energie su flirt, figuracce e guai giudiziari pur di far parlare di sé. Avere una reputazione, essere riconosciuti può essere un’esigenza più importante di godere di una buona reputazione. Avere una cattiva reputazione non è necessariamente uno status che svantaggia chi la possiede. Paris ne è un esempio. E non solo lei. La top model Kate Moss ha ottenuto un rilancio della propria immagine e un significativo aumento di visibilità e guadagni a causa di un suo problema con la droga. La reputazione può essere una meta ambita. Paris scialacqua enormi capitali pur di non passare sotto silenzio. La giovane Hilton non è famosa perché è ricca, ma è grazie alla sua ricchezza che può essere famosa. E questo è possibile. Si accetta che qualcuno sia famoso senza meriti, si accetta che la reputazione di un soggetto aumenti indipendentemente dalla qualità e dalle conquiste. La reputazione è dissociata dal motivo per cui se ne gode. Essa sembra piuttosto associata al fare qualcosa per mantenerla.


Ma perché Paris dovrebbe impiegare tutte queste energie e denari per avere una reputazione? Questa domanda non sembra trovare una risposta all’interno della spiegazione economica, nella Teoria della Scelta Razionale, all’interno del paradigma di spiegazione della reputazione che vede l’individuo come ideale homo economicus. L’esigenza di reputazione non può essere spiegata solo nei termini di un interesse egoistico volto alla massimizzazione dell’utilità personale. L’utilità personale di Paris, intesa in termini di guadagni e di creazione di precedenti per interazioni reiterate nel futuro, è danneggiata dalla sua ricerca di reputazione. Per la sua fame di reputazione rischia anche di perdere il mezzo (il denaro) che ha per mantenerla. Nella reputazione c’è qualcosa che va oltre l’interesse economico, oltre l’esigenza di essere riconosciuti per i propri meriti, oltre la buona reputazione. C’è un desiderio di riconoscimento che non si esaurisce in alcuna logica se non in se stesso.




“Mi sono iscritta alle selezioni del concorso per gioco, non avrei mai pensato di arrivare fino a questo punto. Anzi, a dire il vero mi ha iscritto una mia amica e… ora sono qui. Da grande non voglio lavorare nel mondo dello spettacolo, voglio laurearmi e fare la psicologa criminale. La mia ragione di vita? Ovviamente mia madre: è la mia migliore amica, la mia confidente, la persona più importante. Adoro gli animali, sono fidanzata, amo leggere e ho studiato danza (o canto). Comunque vada, questa è stata un’esperienza bellissima che mi ha aiutata a crescere e a trovare nuove amicizie. Se vincessi il titolo? Continuerei a fare la mia vita di sempre, con i miei affetti, perché… sono una ragazza semplice”.


Ecco l’identikit della partecipante tipo al concorso di Miss Italia. Tutti gli anni le stesse cose, le stesse frasi, le stesse ambizioni, la stessa recita. Colpisce che ogni edizione si sentano ripetere gli stessi protocolli, eppure in Italia non saranno poi così identiche le aspiranti reginette di bellezza. Anche Miss Italia ci insegna qualcosa sulla reputazione. Le aspiranti Miss devono ricalcare un modello-tipo reputazionale. La Miss Italia è una ragazza semplice, una ragazza della porta accanto, una piccola Biancaneve sprovveduta che sino ad ora ha pensato alla scuola, al fidanzato (lo stesso dalla seconda elementare) e ha confidato ogni suo segreto alla mamma. Esiste una marca reputazionale in cui le ragazze devono calarsi se vogliono ambire al titolo, sono selezionate anche in funzione di tali caratteri. Miss Italia continua a essere un evento dello spettacolo italiano proprio per questo, perché ripete, consolida e ridona un volto ogni anno a questo standard femminile, a questa etichetta reputazionale. Ciò che conta è mantenersi nella parte fino alla coroncina di diamanti e alla lacrime delle colleghe profondamente commosse, poi il consueto seguito. La miss abbandona gli studi, si lancia a capofitto nel mondo delle apparizioni tv, lascia il fidanzato, si trasferisce lontano dalla famiglia, sfrutta il suo anno di contratti tv per poi rimanerci e tentare comunque di affermarsi in questo mondo.


In questo caso, la marca reputazionale diventa fondamentale e occorre identificarsi in essa per essere accettati in quel ruolo. La Miss, probabilmente anche inconsapevolmente, si cala in un’etichetta di reputazione che corrisponde a quella che le ‘autorità’ hanno definito come ‘ideale’. Vale per le Miss come per tante altre figure professionali, o status e ruoli sociali. La dimensione sociale delle nostre relazioni può determinare parametri e standard reputazionali che una volta legittimati devono essere fatti propri dagli aspiranti a tali ruoli. Oltre al succinto costume, l’aspirante reginetta deve indossare i panni dell’ideale Miss.

Problemi di reputazione

Grazie a un forum di discussione la vita di Julia, un’anziana signora, è cambiata. Ora, confrontandosi con le sue amiche via internet sembra aver ritrovato la serenità e la voglia di vivere. Una delle sue amiche virtuali decide di incontrarla e scopre che in realtà la tenera nonnina Julia è un uomo, per la precisione uno psichiatra perfettamente sano. Questo è solo uno tra i casi, descritto dalla filosofa Victoria McGeer, che stimolano la riflessione sulla fiducia e sulla reputazione nel web. Casi come questi sono comunissimi su internet e trovano nelle reti sociali occasione di proliferazione. Ad essi, si deve una delle caratteristiche della reputazione di internet: uno spazio non sicuro, popolato da cattive intenzioni, un luogo di fittizie identità e di anonimato impunibile. Perché internet soffre di questa cattiva reputazione? Perché il web oltre ad essere un’importantissima e molto utilizzata fonte di informazioni e conoscenza è considerato ‘pericoloso’?

Innanzitutto è possibile fare una constatazione circa il nostro modo di porci nei confronti di Internet. Le relazioni sul web, di qualsiasi natura siano (commerciali, di amicizia, di scambio di informazioni e opinioni) mancano del volto, mancano della fisicità dell’altro, della sua dimensione corporea. La connessione senza contatto genera la paura dell’inganno. Eppure i sistemi reputazionali che il web mette a disposizione danno all’utente maggiori garanzie e sicurezze di quelle che avrebbe dal solo e semplice incontro o contatto visivo. Al discorso e alla comunicazione come mezzi per costruire, consolidare, minare o mettere in discussione un rapporto di fiducia si affiancano altri dispositivi che aggiungono indizi sulla reputazione del web-utente con cui abbiamo a che fare. Inoltre, il carattere virtuale e disincarnato di internet è comune a molte altre forme di comunicazione e di informazione: la lettura di un testo, uno scambio epistolare, una telefonata, etc. Tuttavia sembra che la nostra spontanea propensione a verificare la benevolenza e la competenza del nostro interlocutore sia frenata dalla modalità di relazione propria del web. Si tende infatti più frequentemente ad attribuire ai nostri web-interlocutori intenzioni malevole e ad attuare comportamenti volti a proteggersi e a difendersi. Paradossalmente, talvolta richiediamo per nostre relazioni su internet delle garanzie e degli standard di fiducia che non pretendiamo per altre modalità di relazione. Facciamo più fatica a riconoscere la pertinenza, l’affidabilità e la benevolenza dei nostri interlocutori se con essi abbiamo uno scambio comunicativo o informativo via internet. La violazione della fiducia sul web sembra quasi il risultato dell’innalzamento dei nostri standard necessari per concederla.

A mettere in discussione la possibilità di investire in relazioni di fiducia sul web è anche un altro aspetto. Sul web, le identità sembrano frammentarsi, disperdersi ed espandersi. Il nome diventa un’etichetta poco significativa: un soggetto può crearsi più identità sul web, avere più Nickname in una chat, cambiare contatti, etc. Questo problema riguarda da vicino la gestione della reputazione sul web e in particolar modo crea problemi non indifferenti ai vari dispositivi reputazionali che la rete ci offre. Infatti, gran parte dei portali che basano i loro contenuti su sistemi di reputazione hanno un problema fondamentale: permettono all’utente di creare più identità. Questa tecnica prende il nome di Sybil Attack, espressione che deriva da un libro e da una serie televisiva tratta da esso molto nota in America. Un unico soggetto crea più account possibili allo scopo di poter agire sulla reputazione non come singolo utente bensì come se a ogni suo account corrispondesse una persona. Ad esempio, un utente crea più account con lo scopo di incrementare la propria reputazione e per poter sfruttare in seguito questa per avere maggiore visibilità e credibilità. Oppure ancora è possibile mettere in crisi un dispositivo reputazionale attraverso Link Farm, ossia siti o pagine che raccolgono una notevole quantità di link in uscita. Le pagine Link Farm erano nate con l’obiettivo di fornire all’utente del sito una raccolta di siti che si riteneva potessero essergli utili. Ma ben presto le Link Farm sono diventati strumenti per migliorare il posizionamento del proprio sito tra i motori di ricerca. Ora, i principali motori di ricerca hanno implementato algoritmi capaci di riconoscere le Link Farm e non considerarle o addirittura di penalizzarle. La moltiplicazione delle identità unita alla possibilità di aggirare i dispositivi reputazionali sembra aggiungere difficoltà nella relazione di fiducia con il web. Al tempo stesso tuttavia i dispositivi reputazionali di cui il web si dota cambiano, si modificano e si ristrutturano per combattere e arginare questi attacchi con molta più velocità ed efficacia di quanto accada per dispositivi reputazionali più comuni e consolidati.

Non è possibile inoltre trascurare un altro elemento che agisce sulla sfiducia nei confronti del web: la privacy. Tema scottante e di grande attualità, chimera della società moderna, sembra trovare il paradigma della sua violazione nella rete. Avere a che fare con il web significa nell’immaginario comune lasciare tracce e indizi che possono essere utilizzati per ingannarci, derubarci e screditarci. I Social Network hanno poi ingigantito il problema. Si tratta di spazi in cui trovare moltissime informazioni personali sugli utenti registrati, informazioni che talvolta sono state utilizzate per truffe e inganni. Basta conoscere il nome di una persona e attraverso motori di ricerca, che spesso non hanno alcuna restrizione, è possibile accedere a informazioni molto personali.

Ma forse questi fattori brevemente elencati hanno pesato sulla reputazione del web più che quelli positivi. Fidarsi di Internet significa fidarsi di un nuovo modalità attraverso la quale costruire relazioni di fiducia. Internet diventa un’occasione di esercitare la nostra attribuzione di fiducia. Invece noi chiediamo al web delle garanzie che non abbiamo nemmeno nelle relazioni vis à vis o perlomeno chiediamo di avere garanzie preliminari di fiducia e di buona reputazione. Ma la fiducia per definizione si costruisce, si definisce nel tempo, è un processo fatto di tappe, di ripensamenti. E se il nostro fornaio di fiducia, fedele frequentazione quotidiana, ci avesse mentito e si chiamasse Pietro invece che Giovanni, o si facesse chiamare da alcuni Pietro, da altri Giovanni e da altri ancora Mario, penseremmo di aver subito un torto irreparabile? Riterremmo di non poter concedergli la fiducia necessaria per acquistare il suo pane?

Riferimenti e per saperne di più

G. Origgi, “Fidarsi di Internet”, in http://gloriaoriggi.blogspot.com/2005/06/fidarsi-di-internet.html

J. R. Douceur, “The Sybil Attack”, in http://www.cs.rice.edu/Conferences/IPTPS02/101.pdf

A. Katz, “A Stance of Trust”, in http://gloriaoriggi.blogspot.com/2006/05/stance-of-trust.html

http://en.wikipedia.org/wiki/Sybil_attack

domenica 17 febbraio 2008

Scientists' Facebook


Facebook, fondato il 4 febbraio 2004 da Mark Zuckerberg, studente ventiduenne di Harvard, è uno tra i principali esempi di Social Network. Facebook è nato con l’obiettivo di mantenere i contatti tra studenti di università e licei di tutto il mondo e ora è diventata una rete sociale che abbraccia trasversalmente tutti gli utenti di internet. Chiunque abbia più di 13 anni può parteciparvi. Gli utenti si creano un profilo, si mettono in contatto con altri utenti che diventano ‘amici’, si iscrivono a gruppi, arricchiscono il loro profilo con dati e informazioni personali ma anche con applicazioni interattive che richiedono l’intervento dei friend. Il sito è gratuito e trae guadagno dalla pubblicità inclusi i banner. Grazie a Facebook gli utenti possono condividere informazioni, scambiarsi messaggi, proporre video, foto e giochi, confrontarsi e mantenere i contatti con le persone nella lista dei propri amici senza necessariamente dover colloquiare come in una chat. Facebook è un interessante strumento sociale, informativo, conoscitivo ma anche reputazionale. Ogni persona ha una lista di amici che dà indicazioni importanti sulle conoscenze, gli interessi e i gruppi sociali di appartenenza dell’utente. Chi possiede un profilo su Facebook può invitare altre persone iscritte a diventare suoi amici e al tempo stesso può accettare o rifiutare qualsiasi richiesta di ‘amicizia’ inviatagli. Facebook oggi non è solo uno trai siti più visitati ma anche uno dei siti in cui la gente passa più tempo; è utilizzato da chiunque: dagli studenti ai professori, da esperti e da non esperti del web, da giovani e da meno giovani. Si tratta di una vera e propria rete sociale, il cui carattere interattivo è di grande interesse e, perché no, di possibile estensione.

Perché allora non immaginare un Facebook della scienza? Una grande rete sociale che ambiziosamente cerchi un’alternativa al modo di fare scienza oggi? O forse più in generale, sia un’alternativa al modo di fare ricerca odierno sia che si tratti di fisica, biologia, medicina, sociologia o filosofia, etc? Forse si può tentare di immaginare un altro modo di fare ricerca oggi, un modo che cerchi di superare le difficoltà del processo ormai consolidato di gestione, diffusione e comunicazione del sapere. Si immagini che ogni scienziato, ricercatore o aspirante tale abbia un suo personale profilo su questa Social Network immaginaria, che chiameremo Scientists’ Facebook (SF). Ogni utente potrà inserire nel proprio profilo una serie di informazioni personali: dati anagrafici, curriculum di studio, esperienze professionali, occupazioni e progetti attuali. Si immagini poi che vi sia una parte del profilo dedicata alle pubblicazioni, ossia al consolidato modo di fare scienza e di affermarsi nella scienza. Ogni utente potrà decidere se rendere disponibili le sue pubblicazioni o meno, ma vedremo come sarà possibile incentivare la fruibilità gratuita sul web di queste. SF prevede inoltre una Research’s Area, una parte dedicata alle ricerche, cuore di questo lavoro collettivo. In questo web-luogo si costruiscono nuovi oggetti di diffusione della conoscenza. Gli utenti potranno scrivere i risultati ottenuti nelle loro ricerche, aggiungerci video, immagini, simulazioni e grafici. Potranno nel loro testo inserire link ad altre ricerche della Research’s Area, a siti e a pubblicazioni inserite nel profilo. Potranno aprire dibattiti e forum sugli argomenti oggetto della ricerca, potranno porre interrogativi che sono emersi dal lavoro. Potranno dare appuntamento ad altri interessati a quell’argomento alla chat che SF metterà a disposizione o a convegni, seminari e incontri sull’argomento. Gli altri utenti potranno contribuire in qualsiasi momento con commenti, integrazioni al lavoro, suggerimenti e critiche. Il paper si trasformerà quindi in un nuovo strumento multimediale fatto di finestre di ampliamento, link, collegamenti, contributi di altri utenti e critiche. Il ricercatore o l’équipe che propongono la ricerca avranno quindi la possibilità di rivedere il loro lavoro grazie ai commenti e le critiche altrui, di vedere il proprio lavoro ampliato grazie e finestre aperte da altri utenti, di ottenere rapidamente review del lavoro e di conseguenza di potersi concentrare nel miglioramento o nella prosecuzione delle ricerche. Questi nuovi oggetti di creazione e diffusione del sapere saranno necessariamente lavori collaborativi, senza firma, senza proprietà. Saranno prodotti wiki in cui la fase di creazione e quella di diffusione del sapere, prima temporalmente separate, saranno convergenti e in continua modificazione e ristrutturazione.

Facebook prevede inoltre delle Application, degli strumenti da aggiungere a piacere al proprio profilo che richiedono per lo più l’interazione di altri friend. Ad esempio, su Facebook si può fare un regalo virtuale (un fiore, un cioccolatino), si possono fare dei test che rivelino qualcosa in più di noi (passioni, carattere, orientamento politico, gusti), si possono mettere a confronto gli amici su alcune caratteristiche (il più bello, il più intelligente) e chiedere ad altri di votare, etc. Possiamo immaginare che anche SF abbia delle Application. In Facebook esiste un’applicazione chiamata Interactive Friend’s Graph che rappresenta, attraverso un grafico (una sorta di rete con dei nodi), le relazioni con gli amici e degli amici tra di loro. Ogni nodo corrisponde a un utente ed è collegato con altri nodi che rappresentano i suoi friend su Facebook. Si potrebbe immaginare una sorta di Interactive Scientist’s Graph che permetta di visualizzare le relazioni, in questo caso lavorative, di studio e di ricerca tra scienziati. E forse anche potrebbe esserci un Interactive Research’s Graph che interconnetta le ricerche presenti nella Research’s Area di SF. Le connessioni tra ricerche saranno determinate dai link che una ricerca fa ad altre di affine argomento o oggetto di analisi. Tra le altre applicazioni immaginabili potrebbe esserci una bacheca in cui gli utenti di SF lancino una sfida su nuovi argomenti, problemi irrisolti e quesiti a cui si potrà cercare di rispondere. Sarebbe poi interessante un’applicazione in cui promuovere e consigliare eventi, conferenze, dibattiti magari corredata di un sistema di raccomandazioni e di inviti.

Da subito sorge una questione: come garantire e assicurare l’attendibilità delle ricerche? Quale sistema reputazionale scegliamo di applicare a SF? Quali parametri di valutazione sono da considerarsi ‘necessari’ quando si parla di scienza? La necessità di garantire attendibilità, competenza, correttezza e verità è molto sentita dalla comunità scientifica ma al contempo gli strumenti reputazionali ormai consolidati si rivelano talvolta obsoleti e non esenti da difficoltà. Occorre fare una scelta circa quali criteri si ritengono più importanti nel giudicare il fare scienza. Personalmente credo che il web possa offrirci sistemi combinati di reputazione che saranno comunque sempre parziali e privilegeranno l’uno o l’altro aspetto, ma capaci di integrarne il più possibile. Innanzitutto, perché SF possa decollare come progetto è necessario che la comunità scientifica lo adotti. Un prodotto soggetto a un’economia di rete ‘funziona’ se è utilizzato da molti e non necessariamente se è il migliore sul mercato. Occorre quindi che il sistema reputazionale di SF non ignori il prestigio di tale comunità scientifica che adottandolo potrebbe determinarne il successo. Si potrebbe quindi prevedere che gli scienziati e i ricercatori iscrivendosi a SF abbiano nel profilo una valutazione visibile, come si fa con i venditori e gli acquirenti di eBay, corrispondente magari a parametri come il numero di pubblicazioni, gli incarichi ottenuti, etc. Ma le persone senza titoli, certificati, brillanti carriere e pubblicazioni, non sono esclusi da questa impresa. Chiunque vi può partecipare e aggiungere il proprio profilo e le proprie ricerche. Per questo è possibile immaginare che si inserisca un altro dispositivo reputazionale che non si basi su titoli e gradi. Si potrebbe applicare una sorta di PageRank come in Google. La pagina, il profilo, di uno scienziato acquista maggiore autorità in base ai link verso la sua pagina e all’autorità di chi fa il link a quella pagina. Uno scienziato sarà in questo modo anche incentivato a rendere disponibili e consultabili sul suo profilo le sue pubblicazioni: questo gli consentirà di aumentare il PageRank della sua pagina. Allo stesso modo, una ricerca aumenta il suo PageRank all’aumentare di link verso di essa e in base all’autorità delle altre ricerche che linkano ad essa. Alcune ricerche emergeranno quindi come più interessanti e più innovative. Al tempo stesso, permarrebbe la possibilità di lasciare un commento e di rendere visibile un giudizio che può agire sulla reputazione del ricercatore o della ricerca. La valutazione e la reputazione sarebbero quindi il risultato dell’interazione di più componenti e soprattutto non dipendenti solamente dal giudizio dell’aristocrazia della scienza.

SF potrebbe essere semplicemente un esperimento mentale poco significativo ma certamente è ormai comune l’idea che la scienza oggi abbia bisogno di nuove modalità di fruizione, di nuovi oggetti scientifici, di tempi più rapidi, di maggiore spazio per il lavoro collaborativo e interattivo. E se il web 2.0 non fosse solo un nuovo strumento per la scienza come spesso si dice, ma divenisse il nuovo modo di fare scienza?

martedì 12 febbraio 2008

La reputazione nella scienza: Matthew Effect e la 41° sedia



Entrare nella cosiddetta ‘comunità scientifica’, essere considerato un esperto, ricevere premi e riconoscimenti, mantenere il proprio prestigio: questa ed altre sono le dimensioni della reputazione nella scienza. Guadagnarsi una reputazione nel mondo accademico e scientifico in generale non è semplice, il cammino per affermarsi in questi settori è ben definito, strutturato, fatto di gradi, diplomi, abilitazioni e lunghe attese. Essere riconosciuti nella e dalla comunità scientifica è uno degli obiettivi più ambiti da ricercatori e scienziati. La ricerca di ‘una buona reputazione’ sembra rispondere a qualcosa che va oltre non solo il riconoscimento economico, spesso non commisurato all’impegno e al lavoro di molti ricercatori, ma anche al puro e disinteressato amore per la scienza e all’ebbrezza per la scoperta scientifica. Godere di un certo prestigio nella scienza significa avere maggiore impatto, maggiore visibilità. Significa essere maggiormente considerati, e significa avere maggiori possibilità di far attecchire la proprie idee.

La reputazione nella scienza si gioca sulle pubblicazioni, non sulle scoperte in sé, ma sulle pubblicazioni sulle scoperte. Ad essere valutati sono gli articoli e la reputazione dei ricercatori dipende in larga parte da essi. Il primo importante indicatore del successo reputazionale di uno scienziato (o più spesso di una équipe) è il prestigio della rivista che pubblica il lavoro. Più è prestigiosa la rivista più aumenta anche il prestigio reputazionale del paper scientifico. A sua volta il prestigio della rivista dipende da un altro meccanismo reputazionale: la percentuale di rifiuti. Più una rivista è selettiva e quindi maggiori sono i lavori rifiutati, più è prestigiosa e ambita come ‘luogo’ di pubblicazione. Alcune riviste come Science e Nature hanno standard estremamente alti per la pubblicazione e rifiutano molti lavori scientifici di buona qualità, se non ritengono che siano innovativi nel settore. Altre riviste come Physical Review o Astrophysical Journal filtrano semplicemente lavori che mostrino errori o incompetenze. Infatti, Nature pubblica circa il 5 per cento dei lavori che riceve mentre Astrophysical Journal circa il 70 per cento. La valutazione dei paper scientifici avviene quasi sempre attraverso un meccanismo di peer-reviewing, ossia attraverso una procedura di valutazione paritaria. Si selezionano cioè degli specialisti dello stesso o affine settore oggetto dell’articolo che vaglino le proposte inviate al comitato editoriale della rivista. I revisori individualmente valutano il lavoro e rimangono anonimi all’autore del paper. Essi sono per lo più ricercatori che scrivono a loro volta paper che inviano a loro volta alle riviste e solitamente non sono pagati per svolgere questo compito. La scelta di una commissione di valutazione composta da pari ha come obiettivo il salvaguardare il più possibile l’oggettività della valutazione: i revisori sono specialisti di quel settore quindi sono nelle condizioni di poter valutare un lavoro come originale o meno. Tuttavia spesso non è semplice trovare specialisti adatti a questo ruolo. Infatti devono non solo essere bene preparati sull’argomento e quindi essere veri specialisti del settore, ma anche non avere conflitti di interesse con gli autori del lavoro da valutare.

Oltre al prestigio e connesso ad esso, vi è un altro fondamentale indicatore reputazionale nella scienza: l’impatto, misurato in termini di tasso di citazioni. Più il lavoro di uno scienziato è citato da quello di altri scienziati più aumenta la reputazione del suo lavoro. Oggi possediamo un potente strumento scientometrico, l’ISI Web of Knowledge, che permette di interconnettere un numero gigantesco di pubblicazioni scientifiche. Esso comprende lo Science Citation Index (SCI), il Social Science Citation Index (SSCI) e l’Arts&Humanities Citation Index (A&HCI). Lo SCI si è ormai imposto come misura oggettiva dell’impatto di un lavoro scientifico e di conseguenza del prestigio di un ricercatore. Per ogni articolo apparso in una selezione di riviste prestigiose di un settore, lo SCI indica il numero di volte che quell’articolo è stato citato da altri lavori. Questo strumento è diventato un indicatore reputazionale fondamentale utilizzato spesso da comitati di esperti per valutare ricercatori che magari non si conoscono personalmente. Il tasso di citazioni viene quindi considerato uno specchio attendibile del prestigio e dell’impatto del lavoro di uno scienziato o di un équipe di scienziati nella comunità scientifica. Se la reputazione di un ricercatore dipende essenzialmente dal numero di citazioni ecco allora che la corsa alla citazione diventa inevitabile per conquistarsi un certo prestigio accademico. Non sono rare infatti strategie di autocitazione, accordi e scambi di citazioni e altri trucchi volti ad accrescere il proprio prestigio reputazionale.

Ma oltre a questa pratica volontaria di azione sul meccanismo reputazionale esiste un fenomeno sociologico che agisce sulla reputazione scientifica, noto come Matthew Effect.


“…A chi ha verrà dato, in modo ancor più in abbondanza; ma chi non ha, verrà
tolto anche quello che sembra avere”


(Vangelo secondo Matteo, XXV 25-29).

È questo passo di vangelo che suggerisce a Robert Merton il nome dell’effetto che nota emergere nella reputazione scientifica. L’effetto, sintetizzabile più semplicemente con la formula rich gets richer, comporta che un articolo già citato più volte abbia una probabilità di essere citato di nuovo maggiore rispetto a un articolo che nessuno ha ancora citato. Più sei citato, più ti citeranno: la sventura dei novizi della scienza. Per un giovane ricercatore non è semplice aggirare l’effetto Matteo che in un certo senso rende esplicito il pregiudizio negativo sulla carriera dei giovani ricercatori. Ad essi spetta il compito di trovare un nome conosciuto della scienza, uno scienziato con un collaudato bagaglio di citazioni che sia disposto a co-firmare un lavoro con giovani ricercatori. Il risultato di questa collaborazione, spesso presente nella scienza, è secondo Merton duplice. Da un lato, aumenta la visibilità del giovane ricercatore che avrà così maggiori probabilità di essere citato e di ottenere un posto accanto ai beneficiari del Matthew Effect. Dall’altro lato però, questa pratica può rivelarsi un’arma a doppio taglio: può insinuare l’ipotesi che il lavoro sia solo merito del ‘guru’ della disciplina che ha concesso al collaboratore di apparire accanto al suo nome anche senza che quest’ultimo abbia contribuito in modo decisivo al lavoro scientifico. Secondo Merton, lo scienziato di una certa fama deve porsi questo dilemma: aggiungere o meno il proprio nome a un lavoro scientifico? Se aggiungerlo comporta il rischio di attribuirsi completamente il merito del lavoro di una équipe non altrettanto nota, non aggiungerlo significa compromettere l’impatto della scoperta scientifica. Infatti, corollario del Matthew Effect è l’effetto per cui un contributo scientifico ha maggiore visibilità nella comunità scientifica quando è introdotto da uno scienziato che gode di un prestigiosa reputazione. Ma non solo. L’effetto Matteo agisce sì sulla comunicazione nella scienza ma anche sull’allocazione delle risorse in essa: ai centri di indubbia eccellenza scientifica continuano ad essere allocate più risorse rispetto ai centri di minor fama. Merton nota inoltre che una volta che uno scienziato si è guadagnato una buona reputazione difficilmente la perde. Egli chiama questo fenomeno Ratchet Effect (effetto ‘arpione’) e lo sintetizza nell’affermazione “un Nobel rimane sempre un Nobel”. Chi ha raggiunto un certo prestigio nella comunità scientifica continua ad essere reputato degno di tale prestigio anche di fronte a parziali insuccessi o a lavori poco significativi. Una volta che la reputazione scientifica si è conquistata difficilmente la si perde: i fallimenti sono poco considerati dalla comunità scientifica, mentre i risultati positivi sono enfatizzati e maggiormente diffusi.

Nell’articolo, apparso su Science, in cui Merton descrive il Matthew Effect compare anche la descrizione del fenomeno della 41esima sedia. L’Accademia di Francia decideva che solamente una coorte di 40 emeriti intellettuali potevano fregiarsi del titolo di membri della Accademia e così assicurarsi una fama immortale. Questa limitazione nel numero di accesso ha creato il paradosso della 41esima sedia: molti talenti furono esclusi dall’Accademia e occuparono questa scomoda poltrona. Tra gli occupanti della 41esima sedia ci sono: Cartesio, Pascal, Molière, Bayle, Rousseau, Diderot, Stendahl, Flaubert, Zola e Proust. Questo paradosso, che deriva dall’avere fissato un numero massimo di posti disponibili ai vertici della comunità scientifica e intellettuale, comporta che in periodi di grandi risultati e scoperte scientifiche aumentino il numero di prestigiosi scienziati esclusi e diminuisca quindi la permeabilità, la diffusione e la comunicazione di risultati e novità scientifiche.
Il paradosso della 41esima sedia, così come il Matthew Effect e gli altri fenomeni descritti da Merton gettano nuova luce sulle strutture reputazionali alla base della scienza: un’impresa non esente da meccanismi psicologici e sociologici capaci di agire sulla reputazione dei ricercatori e di conseguenza sull’impatto e la diffusione di nuove idee e nuovi risultati.

Riferimenti e per saperne di più

G. Origgi, “Un certain regard. Pour une épistémologie de la réputation”, in http://gloriaoriggi.blogspot.com/

R. Merton, « The Matthew Effect in Science », Science, 159 (3810) : 56-63, January 5 1968, in http://www.garfield.library.upenn.edu/merton/matthew1.pdf

http://www.isiwebofknowledge.com/

http://en.wikipedia.org/wiki/Peer_review

giovedì 7 febbraio 2008

Wikipedia versus Citizendium


Il 15 gennaio 2001 prende il via l’ambizioso progetto di Wikipedia, un’enciclopedia online multilingue, consultabile liberamente sul web e redatta in modo collaborativo da volontari. Alla base di questo progetto, ideato da Jimmy Wales e da Larry Sanger, vi è la convinzione che ciascuno possiede delle conoscenze che può condividere con gli altri. Wikipedia deriva il suo nome dalla composizione della parola wiki, termine hawaiano che significa ‘veloce’ e da pedia , suffisso di enciclopedia. L’obiettivo è quindi quello di creare una grande enciclopedia, affidabile e universale. Tutti coloro che visitano il sito di Wikipedia hanno la possibilità di creare o modificare una voce e vedere pubblicate all’istante le modifiche operate. Agli autori delle voci non viene richiesta alcuna competenza, credenziale o qualifica formale ma sono tuttavia avvertiti che i loro contributi possono essere cancellati o modificati da chiunque. È quindi raro che una voce abbia un solo autore; le voci sono per lo più risultato di un lavoro collaborativo e volontario. Tutte le modifiche alle voci di Wikipedia sono mantenute in cronologia, ed è quindi possibile in ogni momento osservare lo sviluppo nel tempo di una voce e verificare dove il contenuto è stato oggetto di controversie. I redattori di Wikipedia sono tra loro molto diversi: insegnanti, studenti, esperti o appassionati. Questo progetto nasce infatti proprio credendo che ogni persona non solo abbia il diritto di imparare ma anche che ognuno abbia qualcosa da insegnare agli altri. I partecipanti sono liberi di decidere se crearsi un’identità, fornendo un nome utente e una password, o meno: la registrazione non è obbligatoria. Oggi Wikipedia è uno dei dieci siti più visitati al mondo, è pubblicata in 250 lingue e conta in totale 8 milioni di voci (406.590 in italiano) scritte da oltre un milione di utenti. Secondo il Guinneess World Record 2008, Wikipedia è l’enciclopedia più grande del mondo. Essa è diventata l’esempio tipico del Web 2.0 grazie alla sua particolarità di essere modificabile e aggiornabile da chiunque. Si tratta di un progetto colossale di redazione del sapere, da parte di una comunità che lavora a ritmo funambolico nella creazione e diffusione volontaria di informazione e conoscenza. L’ambizioso progetto di Wikipedia sembra trovare nel successo che ha avuto in questi pochi anni una solida conferma. Ma non solo. Wikipedia oltre ad essere un progetto di successo sembra anche essere un progetto accurato. Secondo la rivista scientifica Nature, le voci scientifiche di Wikipedia sono comparabili in accuratezza a quelle presenti nell’ Enciclopedia Britannica (sull’edizione inglese di Wikipedia erano riscontrati in media 4 errori per voce contro i 3 della Britannica).

Ma a mettere sotto accusa l’affidabilità e l’accuratezza di Wikipedia è proprio uno dei suoi fondatori, Larry Sanger che nel settembre del 2006 ha preso le distanze da Wikipedia per dedicarsi a nuovo progetto: Citizendium. Citizendium (da citizen e da compendium) è una nuova enciclopedia online che conta oggi 4500 voci e centinaia di autori. Si tratta di un progetto wiki con l’obiettivo di creare un’enorme, libera e affidabile enciclopedia. Per fare questo richiede agli autori di registrarsi con il loro nome e prevede che il lavoro sia supervisionato da esperti in materia. Gli esperti non si occupano solo di scrivere delle voci ma anche di guidare la stesura di altre e infine di approvarle. La presenza di un panel di esperti dovrebbe diminuire sensibilmente gli errori, aumentare l’affidabilità e la correttezza dell’enciclopedia. Secondo Larry Sanger, la presenza di esperti aumenterà l’efficienza del progetto, renderà lo stile delle voci più uniforme e di più alto livello, e aumenterà la probabilità di raggiungere la ‘verità’. Sanger contesta anche la lettura fatta dei risultati riportati da Nature: tali dati si riferiscono infatti solo al confronto tra voci dal carattere scientifico dove c’è relativamente meno disaccordo. Sanger ritiene inoltre che si sbagli nel definire Wikipedia un lavoro nato dal fenomeno di 'wisdom of crowds'. La saggezza delle folle emergerebbe infatti nel caso in cui ogni soggetto prendesse decisioni indipendenti e solo nell’aggregato le azioni individuali mostrassero un grado di accuratezza maggiore dell’opinione di un esperto. Un esempio di 'wisdom of crowds', descritto da Surowiecki e citato da Sanger, è quello di una fiera agricola nell’Inghilterra del 1906. Le persone sono invitate a indovinare il peso di un toro. La media delle stime singole effettuate si rivela incredibilmente vicina al peso reale dell’animale e di gran lunga migliore della stima di un esperto in materia. Ma Wikipedia non funziona così. In essa sono centrali il consenso e il compromesso. Non si tratta cioè di azioni individuali e tra loro contrastanti che in aggregato producono un risultato ‘saggio’, ma di un lavoro collettivo, in sinergia. In conclusione, secondo Sanger, l’esigenza democratica ed egualitaria che ha animato la nascita di Wikipedia va a discapito della sua affidabilità e della correttezza dell’informazione. Ad esempio, alla fine del 2005 il giornalista John Seigenthaler trovò che la sua biografia era stata vandalizzata. Ciò portò alla decisione di restringere (nella Wikipedia in inglese) ai soli utenti registrati la possibilità di creare nuove voci. Anche in Italia, l’affidabilità di Wikipedia è stata messa sotto prova e accusa dalla rivista L’espresso che ha inserito quattro errori in altrettante quattro voci della Wikipedia italiana (Alvaro Recoba, Ugo Foscolo, Giovanni Spadolini e Georg Hegel) e ha inserito una voce del tutto inventata su un finto poeta di nome Carlo Zamolli. Risultato: la voce Alvaro Recoba è stata corretta in poco più di un’ora, la voce Georg Hegel è stata corretta dopo dieci giorni. Le altre voci errate e la voce inventata sono state corrette solo dopo l’uscita del settimanale nelle edicole.

Ritengo sia possibile rispondere a Sanger e provare a difendere la grande opportunità che Wikipedia ci offre. Wikipedia è un progetto democratico e basato su presupposti egualitari, per cui soffre delle stesse difficoltà e degli stessi difetti di una democrazia: lunghe dispute sulle questioni su cui c’è disaccordo, tentativi ed errori per raggiungere il consenso e difficoltà a reprimere immediatamente atti di vandalismo e a etichettarli come tali. Ma è proprio il presupposto democratico di Wikipedia che va salvaguardato. I limiti sono ampiamente superati dalle opportunità offerte, dalla possibilità di essere tutti a ugual diritto coinvolti nella costruzione attiva e responsabile del sapere. Il sistema reputazionale di Wikipedia infatti va nella direzione di incentivare un comportamento responsabile e collaborativo: più il contenuto si avvicina al ‘vero’ e all’ideale di una buona enciclopedia minori sono le possibilità che sia modificato e corretto. Nella sua argomentazione a favore di un nuovo modo di intendere l’enciclopedia online, Sanger parla spesso della necessità di includere degli esperti in Wikipedia. Ma Wikipedia non esclude gli esperti. Semplicemente li tratta come tutti gli altri. Ritengo che sia fuorviante affermare che Wikipedia sia un’enciclopedia senza esperti. Gli esperti sono chiamati come tutti gli altri a contribuire alla costruzione e revisioni e delle voci. Anzi, si potrebbe sostenere che sia Wikipedia la vera enciclopedia con esperti: i suoi esperti sono quelli le cui voci sono meno modificate e corrette e non quelli che sono definiti tali per la loro qualifica formale. Ma forse l’obiettivo di Wikipedia non è quello di definire cosa sia ‘esperto’: l’esperto emerge dal lavoro collaborativo, ‘esperto’ è il risultato del lavoro aggregato di molti autori. Progetti come Wikipedia possono aiutarci a definire una nuova nozione di ‘competenza’ e di ‘qualifica’, generando nuovi strumenti valutativi che affianchino o sostituiscano quelli già consolidati.

Sanger afferma inoltre che molto di quello che è riportato su Wikipedia altro non è che un compendio del lavoro di esperti sull’argomento in questione. Questo non fa altro che confermare l’attendibilità di Wikipedia e la sua convergenza verso ciò che definiamo nei termini di ‘autorità’ in materia. Wikipedia non trascura la tradizione enciclopedica consolidata nel tempo di una voce e magari contribuisce anche a rendere tale sapere più accessibile, meno accademico (non è forse questo l’intento di un'enciclopedia?). Resta poi un altro dato da discutere: la diffusione. Sebbene Citizendium sia nato come progetto ben dopo Wikipedia il suo trend di crescita è nettamente inferiore a quello che ha avuto e continua ad avere Wikipedia. Citizendium e progetti come questo rischiano di non avere la visibilità e la notorietà necessarie ad un enciclopedia che ambisca per affermarsi come modello di organizzazione del sapere contemporaneo. L’esperienza di social networking di Wikipedia può diventare paradigma di nuovi modi di concepire la diffusione e la costruzione del sapere. Può definire nuovi dispositivi reputazionali e rinvigorire e rinnovare l’immagine del sapere: impresa collettiva e universale che investe chiunque e in cui chiunque è chiamato responsabilmente a contribuire.

Riferimenti e per saperne di più

http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia

http://en.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:About

http://en.citizendium.org/wiki/Citizendium_Pilot:About

Larry Sanger, “Who says we know: on the new politics of knowledge”, in http://www.edge.org/3rd_culture/sanger07/sanger07_index.html

Gloria Origgi, “Why reputation matters”, in http://www.edge.org/discourse/whosays.html#go

mercoledì 6 febbraio 2008

Il mercato della reputazione: eBay e Amazon

Fondata nel 1995, eBay è la più grande asta online per la vendita di beni e servizi. Si contano più di cento milioni di utenti registrati in tutto il mondo. Per molto tempo comprare sul web ha significato nell’immaginario collettivo rinunciare a quel colpo d’occhio al venditore che sembra confermarci la sua buona fede, investire rischiando che la transazione si riveli difficoltosa e il venditore o compratore poco onesto o affidabile. La necessità di rendere sicuri gli acquisti su eBay è garantita da un sistema di valutazione volontario. Al termine di ogni transazione l’acquirente e il venditore si scambiano reciprocamente un giudizio sulla transazione. Tale giudizio, detto feedback, consiste in una valutazione positiva, negativa o neutra che, insieme a una breve nota di commento, definiscono il profilo individuale di ciascuno utente. Tale valutazione viene consultata dagli utenti prima di effettuare una transazione al fine di tastare l’affidabilità dell’altra parte, la sua marca reputazionale.

Il sistema di punteggio di feedback funziona in questo modo:
  • Per ogni commento positivo aumenta la valutazione di 1 punto;
  • Per ogni commento negativo diminuisce la valutazione di un 1 punto;
  • Un commento neutra lascia la valutazione invariata.

Gli utenti vengono poi premiati con delle stelle dopo aver raggiunto un punteggio di feedback pari almeno a 10.

Ogni utente può aumentare o diminuire il punteggio di un altro utente solo di un punto, indipendentemente dal numero di transazioni effettuate con quest’ultimo; il profilo di feedback di un utente eBay è sempre pubblico e la valutazione espressa da ciascun utente è non rimuovibile. Il fatto che il feedback sia permanente ha uno specifico obiettivo: aumentare la correttezza del giudizio degli utenti, rendere le loro valutazioni più ponderate. eBay incoraggia gli utenti, prima di lasciare una valutazione negativa, a comunicare con l’altra parte, a risolvere i problemi che si sono verificati durante la transazione. Oppure nel caso in cui i giudizi fossero già stati espressi è possibile optare per un ritiro del feedback concordato: esso permette a due utenti di ritirare di comune accordo il feedback relativo a una transazione. Il commento di feedback ritirato, sia negativo o positivo o neutro, non sarà conteggiato nel punteggio di feedback ma rimarrà visibile nel profilo di feedback. Non esiste un’alternativa al ritiro concordato (o almeno senza incorrere in lunghe trafile burocratiche) per eliminare un feedback. Il fatto che un commento sia stato lasciato per ritorsione o comunque ingiustamente non costituisce per eBay un motivo valido per la rimozione. In questo modo eBay palesa la sua estraneità a ogni transazione commerciale e la sua impossibilità alla verifica della correttezza e imparzialità di tutti i commenti. Al tempo stesso, eBay deresponsabilizzandosi aumenta la responsabilità degli utenti nella valutazione. Si potrebbe descrivere questa caratteristica del mercato di eBay nei termini di un feedback negativo alla valutazione negativa e poco ponderata.

Senza un sistema reputazionale di questo tipo gli acquirenti sarebbe riluttanti a pagare il prezzo ‘pieno’ del prodotto, non essendoci garanzie sulla ‘qualità’ dei venditori. I venditori di ‘alta qualità’ sarebbero invece riluttanti a frequentare un mercato senza garanzie sugli acquirenti e quindi abbandonerebbero l’asta di eBay che diverrebbe presto mercato di venditori di bassa qualità e di compratori poco onesti. Ma esistono nel sistema reputazionale di eBay delle difficoltà che, come sottolineano Resnick et al, riguardano il ricavare, il distribuire e l’aggregare i feedback. Ricavare feedback non è un processo semplice: molte persone non votano soprattutto quando la transazione si è conclusa con successo; è difficile raccogliere feedback negativi (si tende piuttosto a negoziare) e infine non è sempre semplice assicurarsi l’onesta dei giudizi. È inoltre difficile gestire la distribuzione dei feebdack: talvolta un utente con differenti nomi (account) può esprimere più valutazioni perché eBay riconosce i differenti account come appartenenti a utenti diversi, e non sono neppure disponibili sistemi che aggreghino, uniformino e rendano condivisibili le valutazioni provenienti da differenti mercati online come eBay e Amazon. Nonostante queste difficoltà, eBay può essere definito un successo in termini di numero di utenti e dell’espansione che ha avuto nel tempo. L’efficacia del suo sistema reputazionale ha contribuito enormemente alla sua affermazione e lo ha reso nell’immaginario comune un luogo virtuale sicuro di contrattazione.

Amazon, un altro grande sito commerciale, ci offre l’occasione di parlare di reputazione nelle operazioni di mercato anche in un altro modo. In questo caso, ogni mio acquisto modifica la reputazione di un prodotto. Ossia, acquistando ad esempio un libro, io do una sorta di feedback positivo a quel prodotto che acquista una posizione nella classifica delle vendite. Accanto a questa modalità involontaria di raccomandazione esiste anche la possibilità di lasciare un commento sul libro acquistato e di assegnargli da una a tre stelle.
Inoltre, in Amazon le nostre scelte commerciali possono diventare guida per le scelte commerciali di altri compratori. Ogni azione di un acquirente lascia tracce in Amazon e dopo un certo numero di azioni simili emergono dei pattern di scelte condivise da più utenti. Se molti di coloro che hanno acquistato un libro di cucina italiana hanno anche comprato un CD di Pavarotti, al nostro acquisto su Amazon del libro di cucina verremo informati che ‘Le persone che hanno comprato questo libro hanno comprato anche quel CD di Pavarotti…”. Questa tecnica, che prende il nome di filtraggio collaborativo, crea pattern di raccomandazioni generate in modo bottom-up, dall’aggregazione involontaria delle preferenze di molti utenti. Il filtraggio collaborativo può essere anch’esso definito un dispositivo reputazionale: agisce sulle preferenze e sugli interessi dei soggetti avvalendosi di valutazioni, giudizi, scelte involontarie. Esso è responsabile dell’interazione tra agenti, in particolar modo dell’interazione tra le scelte e le opinioni dei web-compratori.

Riferimenti e per saperne di più:

- Ebay e i sistemi reputazionali in Internet

http://databases.si.umich.edu/reputations
Qui è possibile trovare anche l’articolo sopra menzionato di Resnick et al

http://www.ebay.com/

http://www.ebay.it/

http://en.wikipedia.org/wiki/EBay

G. Origgi, « Un certain regard. Pour une épistémologie de la réputation », in http://gloriaoriggi.blogspot.com/

A. Clark, « Slugs, Ants and Amazon.com », in Natural-Born Cyborgs, Oxford University Press, 2003.

- Amazon e il filtraggio collaborativo

http://www.amazon.com/

http://en.wikipedia.org/wiki/Amazon.com

http://en.wikipedia.org/wiki/Collaborative_filtering



martedì 5 febbraio 2008

Google e il PageRank


Grazie a Google, invenzione di Larry Page e Sergey Brin, due giovani studenti universitari, è possibile raccogliere informazioni, acquisire conoscenze e risolvere dubbi semplicemente immettendo una parola o una stringa di parole nel motore di ricerca. Ma non solo. Google ci fornisce anche informazioni reputazionali, o meglio è un sistema reputazionale. Quando effettuiamo una ricerca otteniamo una lista di risultati che in primo luogo ci si presenta come un ordine, una gerarchia. A differenza dei motori di ricerca di prima generazione che ordinavano i risultati semplicemente in virtù del numero di occorrenze di una parola in una pagina, motori di ricerca come Google, definiti appunto di seconda generazione, si avvalgono di un’altra ‘formula’. L’algoritmo alla base del funzionamento di Google è chiamato PageRank, ideato da Larry Page. Il Page Rank è un valore numerico che Google attribuisce ad ognuna delle pagine web (alle pagine e non ai siti come spesso si dice) conosciute dal motore di ricerca. Attraverso un algoritmo si ottiene un indice di merito che si situa su una scala da 1 a 10 e che determina, unitamente ad altri parametri, l’ordine gerarchico di presentazione dei risultati di una ricerca.

Vediamo meglio come funziona. Solitamente i motori di ricerca utilizzano come indicatore della posizione di una pagina web il numero complessivo di link che puntano a quella pagina: se una pagina riceve molti link da altre pagine allora salirà nella gerarchia dei risultati. Anche il PageRank di Google si avvale di questa procedura: il valore di PageRank sale anche con l’aumentare del numero di link che puntano alla pagina. Ma oltre a tenere in considerazione la quantità dei link ricevuti, il PageRank considera anche il valore di Pagerank delle pagine che offrono i link. Ossia, un link ricevuto da una pagina che possiede un PageRank alto vale di più di un link ricevuto da una pagina dal valore di PageRank basso. A ‘spingere in alto’ una pagina web non sarà quindi soltanto la popolarità (il numero di link), bensì anche ‘l’autorità’. Una pagina web che riceve pochi link ma da siti importanti e prestigiosi acquisisce essa stessa autorità, sale la ‘scala’ dei risultati. Il valore di PageRank di una pagina, come precedentemente detto, può oscillare tra 0 e 10 e può essere visionato installando su Internet Explorer la toolbar di Google. Se l’indicatore si presenta bianco significa che il valore di PageRank della pagina è compreso tra zero e meno di 1. Questo risultato indica o che la pagina in questione riceve pochissimi link da altre pagine, o che Google non ne ha ancora calcolato il valore di PageRank, o ancora che Google ha penalizzato tale pagina in seguito all’individuazione di tecniche di SPAM. Se invece l’indicatore è di colore verde, significa che il valore di PageRank è superiore a uno, e tanto maggiore è la parte verde tanto più alto è il valore numerico. Va precisato che la scala di valori non è una scala di tipo ‘lineare’: un valore di PageRank 6 non vale il doppio di un valore di PageRank 3. È invece piuttosto simile a una scala di tipo esponenziale. Per i siti italiani un valore di PageRank tra 4 e 5 indica un sito di media popolarità, un sito con un valore 6 è da considerarsi già un ottimo sito, mentre valori di PageRank pari a 8 o addirittura superiori sono raggiungibili per lo più solo da grandi aziende multinazionali.

Data la popolarità e l’estensivo utilizzo di Google, diventa importante, se si vuole aumentare la visibilità del proprio sito, aumentarne il PageRank. Questo obiettivo è perseguito da figure professionali che si occupano di Search-Engine Optimization principalmente attraverso il tentativo di ricevere link da altri siti e soprattutto da siti di alto PageRank. Per aumentare la possibilità di ricevere link da altri siti è opportuno investire sui contenuti: se un sito possiede contenuti interessanti è più probabile che i webmaster di altri siti decidano di offrirgli spontaneamente un link. Questa modalità di acquisizione di link dovrebbe garantire una sorta di corrispondenza tra la popolarità acquisita da una pagina e la qualità che si presume tale pagina abbia. È tuttavia possibile aumentare il PageRank della propria pagina web anche attraverso accordi con i webmaster di altri siti, effettuando una sorta di scambio di link. Anche in questo caso è garantita la corrispondenza sopra menzionata. È infatti importante effettuare scambi di link con siti di qualità, poiché la tipologia dei siti a cui si offre un link fornisce a Google importanti indicazioni sulla qualità del sito che offre il link.

Il PageRank è da considerarsi quindi un dispositivo reputazionale: valuta il peso di pagine web e lo fa in funzione di un criterio che potremmo definire, da un certo punto di vista, democratico: valuta la popolarità, il numero di link. Si potrebbe tuttavia sostenere che da un altro punto di vista Google si comporti in un modo tutt’altro che democratico. L’algoritmo del PageRank attribuisce infatti un peso differente a i link provenienti da pagine di differente ‘autorità’ e peso; sembra cioè non riconoscere l’attendibilità delle pagine dei nuovi siti e favorire le pagine di siti più stabili e consolidati nel tempo. Ma, a mio parere, essendo la popolarità a determinare l’autorità di un sito, essa risulta essere un ulteriore garanzia di democrazia. Ben differente sarebbe la situazione se i link non fossero scambiati ma acquistati. Google sanziona la pratica di acquisto di link al fine di migliorare il posizionamento del proprio sito: una volta identificati tali casi abbassa il PageRank dei siti che utilizzano link a pagamento.

Tuttavia esiste un modo in Googe per comprarsi visibilità: si tratta degli AdWords. Ad esempio, un’azienda crea un annuncio e sceglie le parole chiave, cioè parole o frasi correlate al suo esercizio commerciale, e quando gli utenti effettuano ricerche su Google, utilizzando una delle parole chiave scelte dall’azienda, l’annuncio verrà visualizzato sulla destra dei risultati di ricerca. L’azienda pagherà a Google un costo per questo annuncio pari al numero di volte in cui l’annuncio è stato cliccato. Oppure ancora esiste la possibilità di pubblicare annunci su altri siti attraverso criteri di pertinenza. Ad esempio, grazie a Gooogle AdSense sul mio sito di giardinaggio potrebbero comparire inserzioni pubblicitarie adatte al target del mio sito: inserzionisti che vendono fiori, giardinieri, etc. Il mio guadagno consisterà nel numero di inserzioni cliccate dal pubblico del mio sito. Sempre attraverso il programma AdSense di Google, vengono posizionati gli annunci in Gmail con l’obiettivo di fornire agli utenti annunci utili, link e contenuti rilevanti per i loro specifici interessi.

È quindi possibile acquistare notorietà in Google, acquistarsi una reputazione. Ma il sistema reputazionale di Google agisce etichettando in modo differente i collegamenti sponsorizzati attraverso ad esempio il posizionamento sulla destra rispetto ai risultati di ricerca. In questo modo è chiaro a tutti che la posizione di quel contatto è stato oggetto di una transazione commerciale, che il posizionamento è stato acquistato. In questo modo, Google cerca di garantire un equo bilanciamento tra reputazione ‘naturale’ e investimento reputazionale.


Riferimenti e per saperne di più

http://www.googlerank.it/

http://www.motoricerca.info/

http://www.google.it/intl/it/ads

http://www.google.com/adsense

http://www.en.wikipedia.org/wiki/PageRank

lunedì 4 febbraio 2008

Parlare di reputazione




Chi sa come nasce una reputazione diffiderà persino della reputazione di cui gode la virtù.

(F. Nietzsche)

Una brava ragazza, un soggetto da evitare, un uomo di un certo spessore, una ‘poco di buono’. Come mi vedo? Come mi vedono gli altri? Come vedo che mi vedono gli altri? Il sottile e intricato gioco della reputazione si snoda tra questi interrogativi, investe le nostre pratiche e ne diventa la marca, il sigillo. Le nostre interazioni scorrono su un binario fatto delle tracce della nostra condotta passata ma soprattutto delle tracce dell’opinione degli altri circa le nostre azioni. Definire la reputazione non è semplice. È il valore informazionale delle nostre azioni. È un meccanismo psicologico di attribuzione di intenzioni. È uno strumento valutativo che si nutre delle interazioni passate proiettandosi sul futuro. È uno scorciatoia sociale e cognitiva che ci consente di configurare lo spazio in termini di ruoli, posizioni, caratteri e tipi umani. È un criterio razionale di filtraggio delle informazioni, un setaccio della pertinenza del sapere. È una condizione preliminare all’acquisizione e valutazione di ogni corpus di conoscenze. È un affidabile strumento sociale dal carattere predittivo. È parte costitutiva della nostra identità e fattore importante nella definizione di questa. Tutto questo è reputazione.


La nozione di reputazione percorre molti ambiti di studio: dalla Teoria della Scelta Razionale alla sociologia, dall’epistemologia alla psicologia sociale, dalla letteratura all’economia. Essa attraversa tutte (ed altre) queste discipline senza tuttavia esaurirsi in nessuna di esse. Questo Blog non ha come obiettivo quello di compendiare la nozione di reputazione, non si cercherà di incasellarla in una disciplina né di ridurne la complessità. Il Blog sarà piuttosto dedicato ad alcuni casi di reputazione e in particolar modo alla reputazione sul web, sulla scienza e sulla scienza nel e del web. Internet sembra innanzitutto mostrarci che il venir meno delle relazioni vis-à-vis contribuisce allo sviluppo di dispositivi reputazionali. Se non posso vedere l’altro, tenerlo sotto controllo, avere la possibilità diretta di verificarne le credenziali, diventa fondamentale creare sistemi e tecniche che consentano di gestire l’immagine sociale dei web-utenti. L’obiettivo di creare condizioni di fiducia nel web passa necessariamente attraverso la definizione di dispositivi reputazionali spontanei o strutturati.


Internet ci offre l’occasione di riflettere sul ruolo della reputazione, fa emergere le sue proprietà e suggerisce, in quanto luogo importante della nostra contemporanea socialità e conoscenza, nuovi modi di intendere la reputazione e nuove prospettive. Questa apertura al nuovo investe anche il nostro modo di concepire la scienza, la nostra definizione di ‘esperto’ e le nostre idee sulla gestione del sapere. Interrogarsi sulla democrazia della conoscenza, sulla qualità del sapere, sulle modalità di fruizione delle pubblicazioni scientifiche comporta anche focalizzare l’attenzione sulle risorse del web e sulla necessità di rinnovare il solido, a volte monolitico, edificio della scienza.
In questo Blog cercherò quindi di descrivere alcuni ‘luoghi’ della reputazione e cercherò anche di immaginarne altri. Il web sarà il ‘luogo’ privilegiato per pensare, progettare e discutere di reputazione.