martedì 12 febbraio 2008

La reputazione nella scienza: Matthew Effect e la 41° sedia



Entrare nella cosiddetta ‘comunità scientifica’, essere considerato un esperto, ricevere premi e riconoscimenti, mantenere il proprio prestigio: questa ed altre sono le dimensioni della reputazione nella scienza. Guadagnarsi una reputazione nel mondo accademico e scientifico in generale non è semplice, il cammino per affermarsi in questi settori è ben definito, strutturato, fatto di gradi, diplomi, abilitazioni e lunghe attese. Essere riconosciuti nella e dalla comunità scientifica è uno degli obiettivi più ambiti da ricercatori e scienziati. La ricerca di ‘una buona reputazione’ sembra rispondere a qualcosa che va oltre non solo il riconoscimento economico, spesso non commisurato all’impegno e al lavoro di molti ricercatori, ma anche al puro e disinteressato amore per la scienza e all’ebbrezza per la scoperta scientifica. Godere di un certo prestigio nella scienza significa avere maggiore impatto, maggiore visibilità. Significa essere maggiormente considerati, e significa avere maggiori possibilità di far attecchire la proprie idee.

La reputazione nella scienza si gioca sulle pubblicazioni, non sulle scoperte in sé, ma sulle pubblicazioni sulle scoperte. Ad essere valutati sono gli articoli e la reputazione dei ricercatori dipende in larga parte da essi. Il primo importante indicatore del successo reputazionale di uno scienziato (o più spesso di una équipe) è il prestigio della rivista che pubblica il lavoro. Più è prestigiosa la rivista più aumenta anche il prestigio reputazionale del paper scientifico. A sua volta il prestigio della rivista dipende da un altro meccanismo reputazionale: la percentuale di rifiuti. Più una rivista è selettiva e quindi maggiori sono i lavori rifiutati, più è prestigiosa e ambita come ‘luogo’ di pubblicazione. Alcune riviste come Science e Nature hanno standard estremamente alti per la pubblicazione e rifiutano molti lavori scientifici di buona qualità, se non ritengono che siano innovativi nel settore. Altre riviste come Physical Review o Astrophysical Journal filtrano semplicemente lavori che mostrino errori o incompetenze. Infatti, Nature pubblica circa il 5 per cento dei lavori che riceve mentre Astrophysical Journal circa il 70 per cento. La valutazione dei paper scientifici avviene quasi sempre attraverso un meccanismo di peer-reviewing, ossia attraverso una procedura di valutazione paritaria. Si selezionano cioè degli specialisti dello stesso o affine settore oggetto dell’articolo che vaglino le proposte inviate al comitato editoriale della rivista. I revisori individualmente valutano il lavoro e rimangono anonimi all’autore del paper. Essi sono per lo più ricercatori che scrivono a loro volta paper che inviano a loro volta alle riviste e solitamente non sono pagati per svolgere questo compito. La scelta di una commissione di valutazione composta da pari ha come obiettivo il salvaguardare il più possibile l’oggettività della valutazione: i revisori sono specialisti di quel settore quindi sono nelle condizioni di poter valutare un lavoro come originale o meno. Tuttavia spesso non è semplice trovare specialisti adatti a questo ruolo. Infatti devono non solo essere bene preparati sull’argomento e quindi essere veri specialisti del settore, ma anche non avere conflitti di interesse con gli autori del lavoro da valutare.

Oltre al prestigio e connesso ad esso, vi è un altro fondamentale indicatore reputazionale nella scienza: l’impatto, misurato in termini di tasso di citazioni. Più il lavoro di uno scienziato è citato da quello di altri scienziati più aumenta la reputazione del suo lavoro. Oggi possediamo un potente strumento scientometrico, l’ISI Web of Knowledge, che permette di interconnettere un numero gigantesco di pubblicazioni scientifiche. Esso comprende lo Science Citation Index (SCI), il Social Science Citation Index (SSCI) e l’Arts&Humanities Citation Index (A&HCI). Lo SCI si è ormai imposto come misura oggettiva dell’impatto di un lavoro scientifico e di conseguenza del prestigio di un ricercatore. Per ogni articolo apparso in una selezione di riviste prestigiose di un settore, lo SCI indica il numero di volte che quell’articolo è stato citato da altri lavori. Questo strumento è diventato un indicatore reputazionale fondamentale utilizzato spesso da comitati di esperti per valutare ricercatori che magari non si conoscono personalmente. Il tasso di citazioni viene quindi considerato uno specchio attendibile del prestigio e dell’impatto del lavoro di uno scienziato o di un équipe di scienziati nella comunità scientifica. Se la reputazione di un ricercatore dipende essenzialmente dal numero di citazioni ecco allora che la corsa alla citazione diventa inevitabile per conquistarsi un certo prestigio accademico. Non sono rare infatti strategie di autocitazione, accordi e scambi di citazioni e altri trucchi volti ad accrescere il proprio prestigio reputazionale.

Ma oltre a questa pratica volontaria di azione sul meccanismo reputazionale esiste un fenomeno sociologico che agisce sulla reputazione scientifica, noto come Matthew Effect.


“…A chi ha verrà dato, in modo ancor più in abbondanza; ma chi non ha, verrà
tolto anche quello che sembra avere”


(Vangelo secondo Matteo, XXV 25-29).

È questo passo di vangelo che suggerisce a Robert Merton il nome dell’effetto che nota emergere nella reputazione scientifica. L’effetto, sintetizzabile più semplicemente con la formula rich gets richer, comporta che un articolo già citato più volte abbia una probabilità di essere citato di nuovo maggiore rispetto a un articolo che nessuno ha ancora citato. Più sei citato, più ti citeranno: la sventura dei novizi della scienza. Per un giovane ricercatore non è semplice aggirare l’effetto Matteo che in un certo senso rende esplicito il pregiudizio negativo sulla carriera dei giovani ricercatori. Ad essi spetta il compito di trovare un nome conosciuto della scienza, uno scienziato con un collaudato bagaglio di citazioni che sia disposto a co-firmare un lavoro con giovani ricercatori. Il risultato di questa collaborazione, spesso presente nella scienza, è secondo Merton duplice. Da un lato, aumenta la visibilità del giovane ricercatore che avrà così maggiori probabilità di essere citato e di ottenere un posto accanto ai beneficiari del Matthew Effect. Dall’altro lato però, questa pratica può rivelarsi un’arma a doppio taglio: può insinuare l’ipotesi che il lavoro sia solo merito del ‘guru’ della disciplina che ha concesso al collaboratore di apparire accanto al suo nome anche senza che quest’ultimo abbia contribuito in modo decisivo al lavoro scientifico. Secondo Merton, lo scienziato di una certa fama deve porsi questo dilemma: aggiungere o meno il proprio nome a un lavoro scientifico? Se aggiungerlo comporta il rischio di attribuirsi completamente il merito del lavoro di una équipe non altrettanto nota, non aggiungerlo significa compromettere l’impatto della scoperta scientifica. Infatti, corollario del Matthew Effect è l’effetto per cui un contributo scientifico ha maggiore visibilità nella comunità scientifica quando è introdotto da uno scienziato che gode di un prestigiosa reputazione. Ma non solo. L’effetto Matteo agisce sì sulla comunicazione nella scienza ma anche sull’allocazione delle risorse in essa: ai centri di indubbia eccellenza scientifica continuano ad essere allocate più risorse rispetto ai centri di minor fama. Merton nota inoltre che una volta che uno scienziato si è guadagnato una buona reputazione difficilmente la perde. Egli chiama questo fenomeno Ratchet Effect (effetto ‘arpione’) e lo sintetizza nell’affermazione “un Nobel rimane sempre un Nobel”. Chi ha raggiunto un certo prestigio nella comunità scientifica continua ad essere reputato degno di tale prestigio anche di fronte a parziali insuccessi o a lavori poco significativi. Una volta che la reputazione scientifica si è conquistata difficilmente la si perde: i fallimenti sono poco considerati dalla comunità scientifica, mentre i risultati positivi sono enfatizzati e maggiormente diffusi.

Nell’articolo, apparso su Science, in cui Merton descrive il Matthew Effect compare anche la descrizione del fenomeno della 41esima sedia. L’Accademia di Francia decideva che solamente una coorte di 40 emeriti intellettuali potevano fregiarsi del titolo di membri della Accademia e così assicurarsi una fama immortale. Questa limitazione nel numero di accesso ha creato il paradosso della 41esima sedia: molti talenti furono esclusi dall’Accademia e occuparono questa scomoda poltrona. Tra gli occupanti della 41esima sedia ci sono: Cartesio, Pascal, Molière, Bayle, Rousseau, Diderot, Stendahl, Flaubert, Zola e Proust. Questo paradosso, che deriva dall’avere fissato un numero massimo di posti disponibili ai vertici della comunità scientifica e intellettuale, comporta che in periodi di grandi risultati e scoperte scientifiche aumentino il numero di prestigiosi scienziati esclusi e diminuisca quindi la permeabilità, la diffusione e la comunicazione di risultati e novità scientifiche.
Il paradosso della 41esima sedia, così come il Matthew Effect e gli altri fenomeni descritti da Merton gettano nuova luce sulle strutture reputazionali alla base della scienza: un’impresa non esente da meccanismi psicologici e sociologici capaci di agire sulla reputazione dei ricercatori e di conseguenza sull’impatto e la diffusione di nuove idee e nuovi risultati.

Riferimenti e per saperne di più

G. Origgi, “Un certain regard. Pour une épistémologie de la réputation”, in http://gloriaoriggi.blogspot.com/

R. Merton, « The Matthew Effect in Science », Science, 159 (3810) : 56-63, January 5 1968, in http://www.garfield.library.upenn.edu/merton/matthew1.pdf

http://www.isiwebofknowledge.com/

http://en.wikipedia.org/wiki/Peer_review

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